Trattare con gentilezza
È interessantissimo ripercorrere l’etimologia della parola gentile/gentilezza per scoprire la forza ecumenica dell’ospitalità.
Per il popolo dell’Alleanza gentili erano tutti gli altri popoli, le altre genti, chi non era come loro.
Per i Romani, invece, il termine faceva riferimento alla gens, formazione famigliare allargata – da gignere generare – cioè i generati da un medesimo mitico capostipite.
Era una formazione sociale sovra-familiare patrizia – una specie di famiglia nobile allargata, un clan a cui appartenevano molte famiglie.
L’essere “gentili” implicava un comportamento più fraterno rispetto a quello tenuto con estranei di altre gentes, anche se magari, vista l’ampiezza di queste gentes, i gentili fra loro non si conoscevano nemmeno.
L’oggi della gentilezza
Sono scomparse le gentes, ma per esprimere la qualità più pura di rispetto e cura benevola, la più semplice e genuina forma di accoglienza, continuiamo a rifarci proprio a quei rapporti interni che nascono dalla consapevolezza di far parte di un’unica, grande famiglia, consci della nobiltà che l’essere gentili richiede.
«Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù», arriverà a dire san Paolo agli abitanti di Efeso, la città più multiculturale di tutte, un vero “porto di mare”.
La settimana di preghiera per l’unità
In questo gennaio celebriamo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ispirato all’accoglienza generosa sull’isola di Malta dopo un terribile naufragio. «Ci trattarono con gentilezza», afferma l’apostolo, esaltando la virtù ecumenica dell’ospitalità.
A questo evento abbiamo dedicato la copertina, che raffigura il salvataggio di Paolo, i naufraghi di oggi – ma su quel gommone ci siamo anche noi – e le molte genti che in Cristo possono trovare un’ancora sicura e la salvezza.
Preghiamo perché non passi invano questo momento di grazia.