In missione tra i ragazzi

«La catechesi non è un “lavoro” o un compito esterno alla persona del catechista, ma si “è” catechisti e tutta la vita gira attorno a questa missione». È quel che ha detto papa Francesco ai catecheti riuniti per il Primo Simposio internazionale sulla catechesi che si è tenuto a Buenos Aires nel luglio scorso.

 

Con i giovanissimi

□ È sempre più difficile il nostro ministero a servizio dei più giovani, plasmati come sono da un ambiente culturale e sociale che non li rende disponibili e aperti alle proposte catechistiche.

□ È difficile stare con loro senza demonizzare o rifiutare tutto ciò che vivono, cercando nello stesso tempo di dare spazio anche ai nostri valori e a una visione della vita illuminata dal Vangelo.

 

L’atteggiamenti da assumere

□ Una missione difficile: ma come comportarci in concreto? L’atteggiamento dovrebbe essere quello del missionario, di chi sa che deve conquistarsi tutto, dalla accettazione della propria persona, alla sintonia educativa. Ben convinti di essere utili quanto più loro non ne sentono il bisogno o non lo desiderano. Sapendo che tutto ciò che riusciamo a trasmettere, nel gioco della loro libertà, può lasciare un segno positivo.

 

Più concretamente

□ Di qui il dovere di qualificarci, di formarci un bel carattere, accogliente e aperto, evitando di diventare aggressivi, polemici, amari quando ci sfuggono e non rispondono a ciò che facciamo per loro.

□ Senza dichiarare troppo in fretta bancarotta e pensarci falliti, chiuderci in noi stessi e limitarci all’ordinaria amministrazione, aspettando solo la fine dell’anno catechistico.

□ Si sa che il nostro compito è quello di seminare, mentre i risultati non dipendono da noi e non si vedono subito. Per questo rimaniamo sereni quando facciamo tutto ciò che ci è possibile davanti a Dio.

 

Con la famiglia

□ Un discorso a parte merita il dovere di intervenire anche sui genitori. Ricordiamolo, i ragazzi, pur con le loro piccole ribellioni, sono quasi sempre lo specchio della loro famiglia, del clima che respirano in casa.

□ E ricordiamolo sempre, la catechesi è molto spesso un momento favorevole per le giovani famiglie, che per il bene dei figli si rendono più facilmente disponibili. Se incontrano chi li accoglie in modo gradevole e magari sorprendente si lasciano coinvolgere.

Un sogno più grande

Mi è sempre piaciuto sognare e spaziare con la fantasia in grande. Vincere la paura di ciò che non si conosce e cercare di andare oltre.

Fino ai confini del mondo

Sono cresciuto ascoltando racconti di missionari partiti verso terre sconosciute per incontrare volti amici e per portare la parola di Gesù che si fa carne nei problemi dell’umanità.

Mi sono portato tra le cose più care la certezza che “un mondo migliore è possibile”, che “insieme si può” e che il Magnificat di Maria sia il più grande sogno che si realizza nella storia.

Per questo amo il mese di ottobre, al quale abbiamo dedicato la copertina di questo numero.

Una copertina e tanti particolari

C’è un gruppo di ragazzini con la loro catechista impegnati e attivi intorno a un mappamondo artisticamente avvolto dal crocifisso, dal segno della croce frutto di quel comando: «Andate e battezzate nel nome…». Ci sono le immagini di grandi missionari che hanno conquistato il mondo con la forza dell’amore. C’è il rosso del sangue dei martiri, il viola della sofferenza e il verde della speranza. Ci sono i bambini, tutti diversi e capaci di non vedere nelle differenze un limite ma una ricchezza. Ci sono tanti libri, chiusi e uno solo aperto: la Parola di Dio. E c’è Maria, quasi nascosta dal volto della catechista (o al suo fianco). Presenza silenziosa, orante, che invita alla preghiera del rosario nel mese a lei dedicato.

Maria, la testimone credibile

Spero che il vostro primo appuntamento con i ragazzi che riprendono il cammino che li conduce  all’incontro con Gesù sia così: intenso e sereno, carico di ideali, aperto al mondo e raccolto intorno a Maria. Solo così potremo trasmettere quell’entusiasmo che dona costanza al nostro impegno e che ci rende testimoni credibili.

Come lo è stata lei, la ragazza che parte in fretta per portare aiuto, la serva umile, la beata dei secoli. Che proclama le grandi opere di Dio e la sua logica sconvolgente, che insegna a guardare il mondo con gli occhi stessi del suo creatore e che ci dice: «Fate quello che vi dirà».

 

                            Valter Rossi

Un’ora a settimana è troppo poco

«Molti vanno a catechismo un’ora a settimana e tutto finisce lì. E io mi chiedo: se è considerato normale far fare sport tre volte a settimana per irrobustire il fisico, perché non si dedica la stessa cura anche alla sua crescita spirituale?». Lo dice l’attore Massimiliano Ossini.

 

Per la prima Comunione

Massimiliano Ossini è il conduttore di «Mezzogiorno in famiglia» per Rai2.  Intervistato su Famiglia Cristiana da Eugenio Arcidiacono, parla del figlio Giovanni che va a catechismo per prepararsi a ricevere la prima Comunione. «A catechismo va volentieri?», domanda il giornalista. «Non tanto, a differenza delle sorelle che da questo punto di vista sono avvantaggiate perché vanno a scuola dalle suore».

 

Anche a scuola

«Ma non è un problema del catechismo», continua Ossini: «anche a scuola Giovanni fa fatica a star seduto ad ascoltare qualcuno che parla». È forse proprio questo il problema, tanti bambini vivono il catechismo come se fosse una lezione scolastica, commenta l’intervistatore: tante cose da imparare, ma non la gioia dell’incontro con Gesù… «Sì, è vero. Se un bambino torna a casa e non ti sa dire ciò di cui si è parlato ma ti confida che si è annoiato per tutto il tempo, c’è qualcosa che non va. Ma non credo sia solo un problema di formazione dei catechisti che tra l’altro, nel nostro caso, sono gli stessi per tutti i miei figli».

 

Un’ora a settimana e tutto finisce lì

Prosegue papà Ossini: «Da piccolo io andavo a catechismo, frequentavo l’oratorio, facevo lo scout e la domenica andavo a Messa. Incontravo più volte gli stessi adulti e gli stessi bambini, con cui condividevo dubbi e curiosità. Oggi invece molti vanno a catechismo un’ora a settimana e tutto finisce lì. E io mi chiedo: se è considerato normale far fare sport a un bambino anche tre volte a settimana per irrobustire il suo fisico, perché non si dedica la stessa cura anche alla sua crescita spirituale? In palestra vedi i muscoli crescere… ma se non “alleni” pure lo spirito è difficile che un bambino si soffermi a riflettere sul suo posto nel mondo e sul senso della vita. Per questo sono convinto che sia necessario andare a catechismo anche tre volte, coinvolgendo magari di più i genitori».

Singolare e preziosa questa testimonianza di un protagonista della tv. Abbiamo tanto da imparare. Soprattutto per fare di quell’ora dell’incontro catechistico qualcosa di speciale.

Umberto De Vanna

40 giorni a Pasqua

La nostra Quaresima: 40 giorni speciali per preparare e vivere la Pasqua e il tempo pasquale. Aiutiamo i ragazzi e le loro famiglie a viverli bene.

Il poster allegato

• Il poster, insieme al tema del mese, è il pezzo forte di questo numero. Vi trovate il commento a tutte le domeniche di Quaresima dell’anno «B», con il suggerimento di alcune attività. I testi sono destinati ai catechisti, che dovranno mediare nell’incontro con i ragazzi.

• L’immagine grande proposta va collocata nella sala del catechismo, ma anche all’ingresso della chiesa parrocchiale: un’immagine parla spesso più di mille parole.

 

Il tema del mese-ragazzi

• Si tratta di otto pagine sulla Quaresima e la Pasqua. Pagine suggestive e ricche di spunti da offrire ai ragazzi. Ci sono delle immagini con una scritta quaresimale che potete passare con whatsapp alle famiglie, una striscia alla settimana.

• Ci sono dei fumetti a strisce sulle domeniche di Quaresima che potrete ritagliare a dare ai ragazzi, una per settimana.

• Apprezzerete sicuramente le illustrazioni e le pagine dedicate a Giuda e alle tematiche pasquali (Pasqua, Ascensione, Pentecoste).

 

Il video «Strade verso la Pasqua»

• Anche il tema del mese-ragazzi di questo numero è accompagnato da un breve video, che potrà aiutare i ragazzi a entrare nelle tematiche della Quaresima e della Pasqua. È uno strumento semplice, ma didattico, che nelle mani dei catechisti può diventare molto efficace. Un video è sempre un’alternativa gradita. Gli abbonati lo trovano scaricabile nel sito (www.dossiercatechista.it).

 

È domenica, ragazzi!

• La rubrica accompagna l’anno liturgico con commenti, spiegazioni delle parole difficili, il racconto, la preghiera.

• In questo numero sono presenti la 5ª e 6ª domenica del Tempo ordinario e le prime due domeniche di Quaresima; le altre domeniche di Quaresima saranno pubblicate nel prossimo numero.

• Le immagini le trovate scaricabili nel sito.

 

Una triplice proposta: digiuno, condivisione e preghiera

• Alle pagine 18-21 alcune riflessioni sul significato della Quaresima.

• Testi e idee semplici da passare ai ragazzi. Ma anche una triplice riflessione sul significato attuale del digiuno, della condivisione e della preghiera e su come viverli in Quaresima a misura di ragazzi.

Umberto De Vanna

Il Santo Carnevale

Dicono che la parola carnevale derivi dal latino carnem levare, accennando al fatto che si festeggia l’ultimo giorno di banchetti a base di carne, proprio a ridosso dei digiuni quaresimali.
Etimologia probabile, anche se la tradizione di festeggiare tra lazzi, frizzi e grassi banchetti fino al giorno prima della Quaresima per poi immergersi nel clima penitenziale sembra solo un ricordo del passato.

Carnevale: una grande occasione

Pensando al carnevale dobbiamo anzitutto pensare alla festa, al divertimento, alla gioia.
Cerchiamo le foto del carnevale in oratorio (fortunato chi lo organizza, anche se poi ci sono i coriandoli da raccogliere), pensiamo ai volti, ai sorrisi, ai giochi. È il regno della fantasia, della creatività, del sogno, della gioia, anche quella rumorosa, quando le energie compresse scoppiano in quella cartuccia esplosiva che chiamiamo giovinezza! Don Bosco, il santo dell’allegria, invitava i ragazzi con le parole di Filippo Neri: «Giocate, saltate, fate chiasso. A me interessa che non facciate peccati».

Togliamo le maschere!

Magari non si toglie più la carne, ma di sicuro dobbiamo gettare via tante maschere.
Le mettono i ragazzi per gioco, e sono ancora i più sinceri di tutti; le mettono i genitori, che sembrano sempre sulla difensiva, ma a volte aspettano solo l’occasione per buttarle via e instaurare relazioni vere e gentili.
E le mettiamo noi. Ci nascondiamo dietro alle maschere tristi e lamentose di una catechesi stanca e in crisi invece di mostrare il volto entusiasta di chi cerca continuamente strade nuove; mettiamo la maschera della paura per ciò che non è ancora stato, mentre annunciamo Cristo novità di vita; ci mostriamo arrabbiati con chi cerca un po’ di ascolto e comprensione e in fin dei conti speriamo che non si faccia più vedere.
Togliamo le maschere, e mostriamo il volto a quel Gesù che si è scagliato più di una volta contro gli ipocriti. Lo sapete che la parola ipocrita indicava gli attori, proprio perché portavano delle maschere per interpretare vari personaggi?
E festa sia!

Valter Rossi

 

Fratelli ma divisi

«Padre, fa’ che coloro che crederanno in me siano una cosa sola»: così ha pregato Gesù nelle ore più drammatiche della sua vita. In realtà la storia della Chiesa è segnata da profonde divisioni in nome dello stesso Vangelo.

 

«Barbèt, barbèt!»

Carlo Carretto ricorda così un episodio della sua fanciullezza: «Avevo otto anni. Vivevo in un villaggio all’ombra di un antico campanile. Un giorno venne un uomo a vendere libri, passando di casa in casa. Non capivo molto allora, ma fu la prima volta ch’io intesi la parola “Bibbia”. Si produsse nel villaggio un’agitazione strana. Prima nelle donne, poi in tutti; chi per zelo, chi per rispetto umano. Si sentirono nell’aria grida isteriche d’una donna. Da una finestra gridava: “Barbèt, barbèt(nomignolo con cui in Piemonte vengono chiamati i protestanti valdesi), non abbiamo bisogno della tua religione. Va’ via di qui”. L’agitazione raggiunse i ragazzi. L’uomo camminava in mezzo alla strada, pallido. Aveva i libri in una grande borsa scura, pesante. Una donna gli tirò dietro un libro che aveva avuto poco prima. L’uomo si abbassò a raccoglierlo senza voltarsi. Una pietra scagliata da un ragazzo lo colpì alla schiena. Accelerò il passo, seguito dai ragazzi a distanza. Ciascuno aveva in mano una pietra. Tra quei ragazzi c’ero anch’io. La sera, alla benedizione eucaristica del mese mariano, il parroco ci lodò perché avevamo difeso la trincea della parrocchia».

 

Non abbiamo nulla da dirci

«Se qualche secolo fa qualcuno ha litigato a nome nostro, perché dovremmo farlo anche noi?». Il giovane prete si sforza di far capire a un gruppetto di protestanti la sua intenzione. Con i giovani del suo oratorio ha pensato di incontrare qualche cristiano di altre confessioni per pregare insieme nella Settimana per l’unità dei cristiani. Ha detto: «Non vogliamo insegnarvi niente, chiediamo solo di condividere la preghiera, guardarci in faccia, non ignorarci». Quei protestanti lo osservano con curiosità, anche per la disinvoltura dimostrata nell’essere andato a cercarli a casa loro. Ma proprio quando qualcuno dà i primi segni di approvazione, arriva il vecchio «pastore», responsabile della comunità, ascolta il prete e i giovani con gli occhi di chi è abituato a una antica diffidenza, e taglia corto: «Non abbiamo niente da dirci. Per pregare insieme bisognerebbe prima che cambiassero tante cose». L’episodio risale a qualche anno fa, oggi non è più così e i «fratelli separati» si ritrovano a pregare insieme in molte circostanze. Tante diffidenze sono ormai cadute, anche se il cammino verso l’unità appare ancora lontano.

 

Questa riconciliazione la vogliamo subito

A Taizé, una comunità dove i giovani di ogni confessione si ritrovano e i monaci non sono solo cattolici, la fraternità e l’unità tra cristiani sono di casa. E risuona sempre forte il desiderio del fondatore Roger Schutz, che diceva: «Alcuni affermano: dato che da secoli siamo separati, ci vorranno secoli perché si realizzi l’unità in una sola Chiesa. Ma possiamo dire di vivere il Vangelo ritardando così l’unità della comunità dei battezzati? Noi siamo le vittime di un divorzio vecchio di quattro secoli e mezzo. Questa riconciliazione noi la vogliamo subito».

 

Una unità difficile

Nella Chiesa la divisione è presente da molti secoli ed è una divisione sorta più per motivi culturali e contrasti umani, che per motivi di fede.

La prima grande divisione risale al 1054: una grande fetta di popolazione cristiana si staccò da Roma e dal Papa; era una questione di prestigio tra Roma e Costantinopoli, nuova capitale dell’impero romano. Ebbe così origine lo scisma d’oriente.

Nel 1521 la Chiesa subì una divisione ben più grave e dolorosa: nasceva il «mondo protestante» per opera del monaco Lutero. Fu uno scisma sproporzionato per la durezza dei contrasti e per le interferenze politiche. Da allora confessioni e sette senza numero, odi e lotte spietate, non del tutto scomparse ancora oggi, anche se le cause di ogni lotta sono sempre piuttosto complesse, così come furono complesse le cause delle divisioni iniziali.

 

Cercare ciò che ci unisce

I gruppi di studio che si ritrovano per proporsi la riconciliazione sottolineano le difficoltà esistenti, ma anche ciò che già abbiamo sulla stessa linea teologica e pratica da cui si può partire per camminare insieme. Ci sono molte cose che abbiamo in comune e sulle quali non ci sono mai state divergenze, soprattutto la stessa fede in Cristo e l’attaccamento alla Parola di Dio. Dobbiamo costruire partendo da qui. «Facciamo insieme ciò che ci unisce ─ si legge in uno dei messaggi inviati a tutte le Chiese ─; testimoniamo il Vangelo nel mondo intero e con tutte le nostre forze. Più ci impegneremo a conoscerci reciprocamente, più sarà facile la riconciliazione». Ma anche: «Se non esiste pace tra le Chiese», dice un vescovo luterano, «non possiamo pretendere di parlare in modo convincente al mondo».

Stefano Torrisi

 

Tra le Chiese una volta all’anno preghiamo insieme in occasione della Settimana di preghiera per l’Unità (18-25 gennaio). Ma a gennaio andiamo a rivedere con i ragazzi il poster «Una sola Chiesa» (La Croce di Lund), completiamo le schede, osserviamo tutti i simboli. Dice papa Francesco: «Andiamo avanti nel nostro cammino di riconciliazione e di dialogo verso un avvenire nuovo, in cui le divisioni si potranno superare e i cristiani saranno pienamente e visibilmente uniti».

Gesti di solidarietà e di amore

Come ha fatto Dio, anche noi a Natale facciamo scelte speciali, a volte imprevedibili e coraggiose, per far vincere la bontà.

 

Ciò che ha fatto Dio

Benedetto XVI ricordava che lo scrittore russo Leone Tolstoj in un breve racconto narra di un sovrano severo che chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. Ma i sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio.

Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrì di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Ma poi disse al re che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Il re allora volle almeno sapere che cosa faceva Dio. «Per poter rispondere a questa tua domanda – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiare i vestiti». Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentì; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: «Questo è ciò che Dio ha fatto».

 

Uomo come noi

È esattamente quel che ha fatto Gesù: il Figlio di Dio ha lasciato il suo splendore divino per rivestire la nostra carne. Spogliò realmente se stesso e assunse la condizione di servo, divenendo simile agli uomini (cf Fil 2,6ss).

Sull’umanità di Gesù ha parole molto belle Juan Arias in una sua preghiera: «Il mio Dio è fragile. È della mia razza. E io sono della sua. Il mio Dio conosce la gioia umana, l’amicizia. Le cose belle della terra. Il mio Dio ha avuto fame, ha sognato, ha conosciuto la fatica. Il mio Dio ha tremato davanti alla morte. Il mio Dio ha conosciuto la tenerezza di una mamma».

 

Amore inventivo

Il gesto di bontà infinita compiuto da Gesù nei nostri confronti spinge alcuni a gesti coraggiosi. Un commerciante confida a un suo cliente: «Nel corso dell’anno rinuncio a tutti gli omaggi che la mia ditta fornitrice mi propone (dagli orologi di lusso, ai viaggi all’estero) e alla fine dell’anno questa ditta destina il 3 per cento del fatturato a opere di solidarietà. Di anno in anno viene in soccorso in modo straordinario a un’associazione solidale e ce ne informa in dettaglio».

Se la prima reazione può essere di stupore, sono però gesti come questo che ci dicono che c’è ancora chi sa essere solidale e sa rinunciare a qualcosa per compiere gesti di solidarietà e di amore. Almeno a Natale.

La dimensione della carità

Le opere di carità sono, col digiuno e la preghiera, uno dei punti forti della Quaresima. E sono anche un’occasione per fare qualcosa di concreto a catechismo, per dare la possibilità ai ragazzi di diventare protagonisti. Ma attenzione a non passare da protagonisti a primedonne!

Un elemento essenziale

Quali sono le caratteristiche che ci fanno dire che la nostra offerta catechistica è valida? Quali i criteri? Nel periodo quaresimale, tempo di esame di coscienza, possiamo chiederci se il percorso dei nostri ragazzi si sta svolgendo nella giusta direzione. Quali spazi di protagonismo organizziamo per loro? E con quale spirito? Sono domande che sorgono dando un’occhiata alla copertina, nella quale tutti sono coinvolti in una “giornata della carità”: dal parroco ai bambini, passando per catechisti, genitori, adulti e giovani. Che sia essenziale darsi da fare per i più bisognosi nessuno lo mette in dubbio, ma si può correre il rischio che l’impegno caritativo sia fatto in maniera strumentale, utilitarista. Si fanno delle cose perché servono a noi, impegnano i ragazzi, li facciamo sentire utili e buoni… Insomma al centro ci siamo sempre noi, e il tarlo della primadonna erode il senso e il valore di ciò che facciamo.

Gli altri al centro

E invece al centro ci deve essere l’altro, la sua dignità, le sue necessità. E all’altro ci si accosta come ad un fratello, carne della nostra carne, sangue del nostro stesso sangue, con il rispetto che nasce dalla vicinanza e non dal distacco, pronti a ricevere più di quanto si dona. Vincendo anzitutto nella propria testa e nel proprio cuore la cultura dello scarto per vivere l’amore nella logica dell’inclusione, del servizio e della restituzione. Nel giudizio finale non saremo interrogati sulle verità di fede, ma sugli atti di carità. Allo stesso modo, gli appelli di Gesù ai bisogni concreti della vita delle persone (avevo fame, avevo sete, ero straniero…) devono essere messi alla base dell’impostazione della nostra catechesi, come criteri di verifica di una corretta trasmissione della fede. In altre parole, solo se sapremo far crescere cristiani capaci di amare veramente, potremo dire di aver
compiuto la nostra missione.

I giovani, sempre

Il sinodo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” è stato una carica di entusiasmo e allegria che ha invaso la Chiesa e il mondo intero. Un cammino che continua nella Giornata Mondiale della Gioventù di Panama.

I giovani protagonisti

Vogliono essere protagonisti e per questo si scontrano. Ogni giovane ha vissuto uno “scontro intergenerazionale” che ha rafforzato, ma anche, di certo, ferito. E, forse, quella voglia di essere sempre giovani, anche a costo di rinunciare all’essere adulti, è conseguenza di quelle cicatrici. E quando si mollerà quel mito del giovanilismo a tutti i costi per riscoprire la bellezza di una vita adulta riconciliata?

Mettersi in ascolto

Il sinodo si è costruito sul coraggio di parlare e sull’umiltà di ascoltare. L’esercizio del dialogo è il punto di non ritorno. «Il primo frutto di questo dialogo – ricordava Papa Francesco nel discorso d’inizio – è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione grazie a quanto ha ascoltato dagli altri». Questo rende possibile il discernimento, cioè dell’ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili. E anche l’imprevedibilità del mondo giovanile è voce dello Spirito, e va ascoltata e valorizzata. È interessante che durante il sinodo, ogni cinque interventi venivano osservati alcuni minuti di silenzio. Per ascoltare anche e soprattutto con il cuore, nell’interiorità.

Mettersi in cammino

Così sono i giovani della nostra copertina, pellegrini, curiosi, in partenza, all’avventura, ma su una strada che, se è vero che è stata tracciata da altri, può riservare ancora mille imprevedibili avventure in compagnia di tanti fratelli, ma soprattutto del Signore. Sono i giovani della Gmg di Panama, che si svolgerà dal 22 al 27 gennaio, e sarà dedicata a Maria, la serva del Signore nella quale la Parola prende corpo. È questa la Chiesa in cammino, chiamata ad uscire da pregiudizi e stereotipi, per costruire dialoghi che aprano alla speranza e a un rinnovato annuncio del Vangelo. E a tutti voi, parroci, catechisti e genitori l’augurio risuonato all’inizio del sinodo con le parole del profeta Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1).

Valter Rossi

Viva il Tempo di Pasqua

Una luce nella notte squarcia le tenebre e riporta la gioia. Salito
faticosamente il Calvario ora possiamo guardare a nuovi orizzonti, spaziare lontano con lo sguardo, vedere nuovi percorsi, aprirci come comunità nuove ad un mondo di speranza in cui il Signore ci assicura: «Io sono con voi fino alla fine dei giorni!».

Un cammino di luce

Ci concentriamo tanto sulla Quaresima, e facciamo bene: è un tempo “forte”. Forse ci concentriamo troppo. Camminiamo, promettiamo, ci impegniamo… fino a Pasqua. Poi… un po’ di riposo. E dimentichiamo che abbiamo solo finito il tempo della preparazione, cioè quel periodo che dovrebbe introdurci a qualcosa di ben più importante. Dovrebbe disporre chi sta dormendo a svegliarsi, a destarsi dai morti e lasciarsi illuminare da Cristo, come dice San Paolo agli Efesini (Ef 5,14). Per poi vivere da figli della Risurrezione, cioè in un’altra parola da cristiani veri. È il tempo di Pasqua quello in cui viviamo noi oggi, percorrendo non più una Via Crucis, ma una Via Lucis.

Cinque sensi più uno

Per questo abbiamo offerto nel poster una Via Lucis da proporre a bambini e ragazzi, che si protragga per tutte le settimane del tempo di Pasqua. Una Via Lucis in cui sono protagonisti i cinque sensi più uno (il sesto senso, quel “sentire dentro”, misteriosa intuizione della verità). È l’esperienza che hanno fatto i primi apostoli e seguaci di Gesù: un evento certo, storico e fisico, nel quale tutti e cinque i sensi sono stati usati per incontrare Gesù risorto e vivo per sempre. È un grido che annuncia non concetti, ma un’esperienza di vita.

Una comunità illuminata

Nel disegno di copertina tutta la comunità è radunata davanti alla chiesa. È fuori, nella notte e nel buio, ma la luce di un fuoco nuovo illumina e riscalda. La fiamma di un cero disperde le tenebre e allieta i credenti in Cristo e introduce ad una veglia che rilegge tutto il passato e la storia della salvezza e invita ad uscire per essere testimoni dell’amore che Dio ha per il mondo: «Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto. Alleluia, alleluia». È l’annuncio di una Pasqua senza fine e di una domenica senza tramonto vissuta in una comunità dalle porte spalancate.
A voi, catechiste e catechisti, parroci e laici impegnati nella catechesi, l’augurio di una santa Pasqua da me personalmente e da tutta la nostra redazione.