Gesti di solidarietà e di amore

Come ha fatto Dio, anche noi a Natale facciamo scelte speciali, a volte imprevedibili e coraggiose, per far vincere la bontà.

 

Ciò che ha fatto Dio

Benedetto XVI ricordava che lo scrittore russo Leone Tolstoj in un breve racconto narra di un sovrano severo che chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. Ma i sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio.

Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrì di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Ma poi disse al re che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Il re allora volle almeno sapere che cosa faceva Dio. «Per poter rispondere a questa tua domanda – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiare i vestiti». Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentì; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: «Questo è ciò che Dio ha fatto».

 

Uomo come noi

È esattamente quel che ha fatto Gesù: il Figlio di Dio ha lasciato il suo splendore divino per rivestire la nostra carne. Spogliò realmente se stesso e assunse la condizione di servo, divenendo simile agli uomini (cf Fil 2,6ss).

Sull’umanità di Gesù ha parole molto belle Juan Arias in una sua preghiera: «Il mio Dio è fragile. È della mia razza. E io sono della sua. Il mio Dio conosce la gioia umana, l’amicizia. Le cose belle della terra. Il mio Dio ha avuto fame, ha sognato, ha conosciuto la fatica. Il mio Dio ha tremato davanti alla morte. Il mio Dio ha conosciuto la tenerezza di una mamma».

 

Amore inventivo

Il gesto di bontà infinita compiuto da Gesù nei nostri confronti spinge alcuni a gesti coraggiosi. Un commerciante confida a un suo cliente: «Nel corso dell’anno rinuncio a tutti gli omaggi che la mia ditta fornitrice mi propone (dagli orologi di lusso, ai viaggi all’estero) e alla fine dell’anno questa ditta destina il 3 per cento del fatturato a opere di solidarietà. Di anno in anno viene in soccorso in modo straordinario a un’associazione solidale e ce ne informa in dettaglio».

Se la prima reazione può essere di stupore, sono però gesti come questo che ci dicono che c’è ancora chi sa essere solidale e sa rinunciare a qualcosa per compiere gesti di solidarietà e di amore. Almeno a Natale.

La dimensione della carità

Le opere di carità sono, col digiuno e la preghiera, uno dei punti forti della Quaresima. E sono anche un’occasione per fare qualcosa di concreto a catechismo, per dare la possibilità ai ragazzi di diventare protagonisti. Ma attenzione a non passare da protagonisti a primedonne!

Un elemento essenziale

Quali sono le caratteristiche che ci fanno dire che la nostra offerta catechistica è valida? Quali i criteri? Nel periodo quaresimale, tempo di esame di coscienza, possiamo chiederci se il percorso dei nostri ragazzi si sta svolgendo nella giusta direzione. Quali spazi di protagonismo organizziamo per loro? E con quale spirito? Sono domande che sorgono dando un’occhiata alla copertina, nella quale tutti sono coinvolti in una “giornata della carità”: dal parroco ai bambini, passando per catechisti, genitori, adulti e giovani. Che sia essenziale darsi da fare per i più bisognosi nessuno lo mette in dubbio, ma si può correre il rischio che l’impegno caritativo sia fatto in maniera strumentale, utilitarista. Si fanno delle cose perché servono a noi, impegnano i ragazzi, li facciamo sentire utili e buoni… Insomma al centro ci siamo sempre noi, e il tarlo della primadonna erode il senso e il valore di ciò che facciamo.

Gli altri al centro

E invece al centro ci deve essere l’altro, la sua dignità, le sue necessità. E all’altro ci si accosta come ad un fratello, carne della nostra carne, sangue del nostro stesso sangue, con il rispetto che nasce dalla vicinanza e non dal distacco, pronti a ricevere più di quanto si dona. Vincendo anzitutto nella propria testa e nel proprio cuore la cultura dello scarto per vivere l’amore nella logica dell’inclusione, del servizio e della restituzione. Nel giudizio finale non saremo interrogati sulle verità di fede, ma sugli atti di carità. Allo stesso modo, gli appelli di Gesù ai bisogni concreti della vita delle persone (avevo fame, avevo sete, ero straniero…) devono essere messi alla base dell’impostazione della nostra catechesi, come criteri di verifica di una corretta trasmissione della fede. In altre parole, solo se sapremo far crescere cristiani capaci di amare veramente, potremo dire di aver
compiuto la nostra missione.

I giovani, sempre

Il sinodo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” è stato una carica di entusiasmo e allegria che ha invaso la Chiesa e il mondo intero. Un cammino che continua nella Giornata Mondiale della Gioventù di Panama.

I giovani protagonisti

Vogliono essere protagonisti e per questo si scontrano. Ogni giovane ha vissuto uno “scontro intergenerazionale” che ha rafforzato, ma anche, di certo, ferito. E, forse, quella voglia di essere sempre giovani, anche a costo di rinunciare all’essere adulti, è conseguenza di quelle cicatrici. E quando si mollerà quel mito del giovanilismo a tutti i costi per riscoprire la bellezza di una vita adulta riconciliata?

Mettersi in ascolto

Il sinodo si è costruito sul coraggio di parlare e sull’umiltà di ascoltare. L’esercizio del dialogo è il punto di non ritorno. «Il primo frutto di questo dialogo – ricordava Papa Francesco nel discorso d’inizio – è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione grazie a quanto ha ascoltato dagli altri». Questo rende possibile il discernimento, cioè dell’ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili. E anche l’imprevedibilità del mondo giovanile è voce dello Spirito, e va ascoltata e valorizzata. È interessante che durante il sinodo, ogni cinque interventi venivano osservati alcuni minuti di silenzio. Per ascoltare anche e soprattutto con il cuore, nell’interiorità.

Mettersi in cammino

Così sono i giovani della nostra copertina, pellegrini, curiosi, in partenza, all’avventura, ma su una strada che, se è vero che è stata tracciata da altri, può riservare ancora mille imprevedibili avventure in compagnia di tanti fratelli, ma soprattutto del Signore. Sono i giovani della Gmg di Panama, che si svolgerà dal 22 al 27 gennaio, e sarà dedicata a Maria, la serva del Signore nella quale la Parola prende corpo. È questa la Chiesa in cammino, chiamata ad uscire da pregiudizi e stereotipi, per costruire dialoghi che aprano alla speranza e a un rinnovato annuncio del Vangelo. E a tutti voi, parroci, catechisti e genitori l’augurio risuonato all’inizio del sinodo con le parole del profeta Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1).

Valter Rossi

Viva il Tempo di Pasqua

Una luce nella notte squarcia le tenebre e riporta la gioia. Salito
faticosamente il Calvario ora possiamo guardare a nuovi orizzonti, spaziare lontano con lo sguardo, vedere nuovi percorsi, aprirci come comunità nuove ad un mondo di speranza in cui il Signore ci assicura: «Io sono con voi fino alla fine dei giorni!».

Un cammino di luce

Ci concentriamo tanto sulla Quaresima, e facciamo bene: è un tempo “forte”. Forse ci concentriamo troppo. Camminiamo, promettiamo, ci impegniamo… fino a Pasqua. Poi… un po’ di riposo. E dimentichiamo che abbiamo solo finito il tempo della preparazione, cioè quel periodo che dovrebbe introdurci a qualcosa di ben più importante. Dovrebbe disporre chi sta dormendo a svegliarsi, a destarsi dai morti e lasciarsi illuminare da Cristo, come dice San Paolo agli Efesini (Ef 5,14). Per poi vivere da figli della Risurrezione, cioè in un’altra parola da cristiani veri. È il tempo di Pasqua quello in cui viviamo noi oggi, percorrendo non più una Via Crucis, ma una Via Lucis.

Cinque sensi più uno

Per questo abbiamo offerto nel poster una Via Lucis da proporre a bambini e ragazzi, che si protragga per tutte le settimane del tempo di Pasqua. Una Via Lucis in cui sono protagonisti i cinque sensi più uno (il sesto senso, quel “sentire dentro”, misteriosa intuizione della verità). È l’esperienza che hanno fatto i primi apostoli e seguaci di Gesù: un evento certo, storico e fisico, nel quale tutti e cinque i sensi sono stati usati per incontrare Gesù risorto e vivo per sempre. È un grido che annuncia non concetti, ma un’esperienza di vita.

Una comunità illuminata

Nel disegno di copertina tutta la comunità è radunata davanti alla chiesa. È fuori, nella notte e nel buio, ma la luce di un fuoco nuovo illumina e riscalda. La fiamma di un cero disperde le tenebre e allieta i credenti in Cristo e introduce ad una veglia che rilegge tutto il passato e la storia della salvezza e invita ad uscire per essere testimoni dell’amore che Dio ha per il mondo: «Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto. Alleluia, alleluia». È l’annuncio di una Pasqua senza fine e di una domenica senza tramonto vissuta in una comunità dalle porte spalancate.
A voi, catechiste e catechisti, parroci e laici impegnati nella catechesi, l’augurio di una santa Pasqua da me personalmente e da tutta la nostra redazione.

Alla fine di un anno

Tempo per tirare le somme, rivedere il percorso, gioire dei successi e imparare dagli errori per non rifarli più. Ma anche occasione buona di mettere le basi per nuovi cammini ed esperienze, programmare con anticipo, lanciare iniziative e sognare.Un cammino di luce.

Un pullman che parte

La copertina raffigura un gruppo di giovani che partono insieme alla catechista e al giovane parroco (o viceparroco – beato chi ne ha uno!). Dove stanno andando? Al ritiro in preparazione alla Cresima? Oppure stanno partendo per un campo estivo che lascerà ricordi indelebili e darà il via al nuovo gruppo di post-cresima? Forse sono giovani animatori che si stanno preparando all’Estate Ragazzi e incominciano con un’esperienza comunitaria che li leghi e li carichi! Di certo si respira un clima di gioia e di voglia di fare, non di conclusione e di «evviva, è finita!». Vuole essere il nostro augurio a conclusione di tante fatiche, che non devono appesantire i nostri volti, ma illuminarli della gioia di chi semina nel campo del Signore.

Un’estate da non sprecare

Forse anche noi tendiamo a tirare i remi in barca nel periodo estivo. Diamo l’appuntamento a settembre, a ottobre, e inconsapevolmente, ma chiaramente, trasmettiamo l’idea che le vacanze scolastiche siano un periodo di ferie anche per la fede, la partecipazione all’Eucarestia domenicale e la preghiera. Per questo, proponiamo un sussidio che aiuti a portare Gesù in vacanza.

Un successo assicurato

Quali le esperienze di successo? Di sicuro le tante, tantissime proposte di Estate Ragazzi, di vita di oratorio, di centri estivi e di campi al mare, in montagna e in collina, di Grest. Non sono qualcos’altro rispetto alla proposta catechistica, ma formano un tutt’uno con essa. E la presenza di altri ragazzi, magari anche di religioni diverse, aumenta, anziché sminuirne la qualità. Perché i valori dell’accoglienza, del rispetto, della ricchezza dell’incontro con l’altro sono messi in gioco nella realtà di tutti i giorni.
L’Estate Ragazzi non può essere un “affare” degli animatori e di qualche volontario. Su quel pullman ci siamo tutti, c’è l’intera comunità pastorale ed educativa: don, catechisti, educatori, animatori, genitori e ragazzi. E tutti insieme chiediamo allo Spirito Santo che ci illumini nel cammino, perché senza non sappiamo dove andare. L’autista, anche se non è inquadrato, è Lui.

Guardar le stelle

È quanto Dio chiede ad Abramo, gesto di fede e di speranza, gesto che apre il cammino e muove i passi. È quello che viene chiesto a noi, atto di chi crede nella novità che viene dal Signore.

Come Abramo in cammino

Era un momento difficile quello che stava passando Abramo: dopo venticinque anni dalla sua uscita da Carran, continuava a essere un nomade senza discendenza. La risposta di Dio non si fa aspettare: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). Quello sguardo rivolto al cielo stellato campeggia nella copertina di questo primo numero, che apre l’anno catechistico illuminato da una luce che proviene dall’alto. Forse non è il nostro sole sfolgorante, ma quel flebile bagliore è la luce di miliardi di soli che disegnano in cielo la meravigliosa opera di Dio e che invitano alla contemplazione, alla lode e al ringraziamento.

Anche noi in cammino

Anche noi, che possiamo passare momenti duri, di buio e stanchezza, siamo chiamati ad alzare lo sguardo verso l’alto per riprendere il cammino. Noi, chiamati a dare risposte al senso profondo che ogni uomo, ogni bambino, ogni genitore, sente pulsare nel profondo. Noi, capaci di trovare una direzione a chi vaga illuminato dalle troppe luci di una notte abbagliante fino allo stordimento. Noi, pronti a partire (e con una rivista completamente rinnovata – fateci pervenire le vostre osservazioni!), con la certezza della meta.

Per far alzare lo sguardo

Siamo un dito puntato verso il cielo, una spiegazione che sa ancora affascinare, un abbraccio che non stringe ma che libera, una mano che sa accompagnare, passo dopo passo, verso una comunità nuova radunata nel nome del Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli.

Fede: lotta, ricerca e preghiera

L’episodio della lotta di Giacobbe con l’angelo sulla riva destra del fiume Iabbok è un momento solenne e carico di significati nell’esperienza della fede, e una strada anche per noi, comunicatori di un incontro che cambia la vita.

Una notte di silenzio e lotta

Perché mai Giacobbe si sarà fermato sulla riva destra dello Iabbok, dopo aver traghettato tutto e tutti sull’altra sponda? Cercava la solitudine e il silenzio ed era in preghiera. Era “una lotta dura”, perché il sonno lo assaliva e a volte pareva vincerlo, ma soprattutto erano i mostri dello scoraggiamento, della sfiducia, della paura che si avventavano su di lui e lo lasciavano pieno di ferite. In quel momento solenne e sacro Giacobbe riceve un nome nuovo, che lo raggiunge nel centro del proprio essere, un orientamento nuovo alla propria vita…

Diventa “Israele”, cioè “è forte con Dio”. Il libro della Sapienza dice: «Gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che la pietà è più potente di tutto» (10,12).

Sui passi della fede

Nel nostro cammino di catechisti possono esserci momenti come questi, quando il buio della notte e la lotta incessante sembrano sopraffarci. Non sarebbe vera la preghiera e inconcludente la ricerca se non diventasse lotta dura, che lascia il segno nella carne, che ci cambia il nome. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di restare sulla riva destra dello Iabbok, nel silenzio misterioso della preghiera che si fa invocazione e riconosce che le parole che illuminano, il coraggio dell’annuncio che risveglia gli animi, la forza che smuove le volontà, la ricerca che porta risposte, provengono unicamente da Dio. E non dalle nostre astuzie, dalle nostre programmazioni e dai nostri progetti.

Una slogatura e una benedizione

Non saremo vincitori impavidi, ma combattenti feriti in quell’ospedale da campo che è la Chiesa, e condivideremo la benedizione di Dio che ha segnato i nostri giorni.
Buon anno di lotta, ricerca e preghiera.

Vivere il tempo dell’attesa

Tre figure riempiono il tempo dell’attesa: Isaia, Giovanni Battista e Maria. Speranza, testimonianza e disponibilità ci guidano a vivere l’attesa del Natale.

Isaia, il profeta della speranza

Per una tradizione antichissima ed universale le pagine più significative del libro di Isaia sono proclamate durante l’Avvento, perché in lui, più che negli altri profeti, si trova un’eco della grande speranza che ha confortato il popolo eletto durante i secoli duri e decisivi della sua storia con Dio.

Gli annunci di Isaia rincuorano il popolo oppresso da molti nemici e nella schiavitù di Babilonia rinfrancano dallo sconforto.Le sue parole costituiscono un annuncio di speranza perenne per gli uomini di tutti i tempi.

E sono speranza per noi, annunciatori gioiosi ed appassionati della salvezza che solo Dio può donare, impegnati a vivere in un mondo che non si accorge dei luminosi segnali della presenza di Dio che era, che è e che viene.

Giovanni, battezzatore e testimone

La seconda figura è quella, statuaria e potente, dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento, il battezzatore che urla nel deserto. Egli è scelto da Gesù per essere quel testimone scomodo che mette in crisi le sicurezze di ognuno, ma che indica anche strade concrete di vita nuova e di sincerità.

Più che le sue parole che pure sono forti e chiare, il suo stile di vita e la sua morte ingiusta sono una testimonianza concreta della centralità di Gesù e la certezza che nulla può mettere a tacere il grido della giustizia e l’invito a cambiare, a convertirsi e a vivere una vita nuova.

Per noi, testimoni con la parola e, soprattutto, con la vita, Giovanni resta la fiaccola che arde e risplende e chiede di non restare nascosti.

Maria, l’immacolata

La risposta generosa di Maria crea lo spazio nel mondo perché Gesù trovi casa. La sua disponibilità ci ammaestri perché il suo Figlio entri e rimanga nelle nostre case.

A tutti voi i migliori auguri di un santo e gioioso Natale.

Rossi Valter